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CRITICA AL LIBRO VELENO

Prima Puntata 

     

“Niente di quello che è scritto in questo libro è stato in alcun modo romanzato dall’autore”: così scrive Pablo Trincia nella nota sul retro della copertina.

Ricorda molto qualche film dove nei titoli di coda  scorre la scritta “ogni riferimento a persone…..è puramente casuale” che istintivamente ci fa  dubitare del contrario.

Così Pablo Trincia, suo malgrado, ci mette la pulce nell’orecchio.

In effetti, come si vedrà, il suo libro è un romanzo vero e proprio, che prende l’avvio da vicende reali, ma poi si dipana in una fuorviante e fantasiosa ricostruzione dei fatti.

 

Introduzione: ritrovamento di un teschio

In questa introduzione troviamo il primo indizio sul fatto che il lavoro è più un romanzo che un’inchiesta: l’autore si dilunga alquanto sul ritrovamento di un teschio avvenuto  il 1 aprile 1995 sulle rive del Panaro, nei pressi del cimitero di Finale, da parte di alcuni ragazzini. Nessun seguito viene dato alla scoperta, trattasi di un reperto risalente ai tempi della guerra. L’introduzione è sicuramente ad effetto,  ma l’autore dice che non è un romanzo.

 

Parte I

Il discredito su bambini e operatori

 *capitolo 1*

Pablo Trincia racconta come abbia iniziato ad interessarsi alla vicenda della bassa modenese: afferma di aver saputo per caso qualche anno prima  della storia dei fratelli Covezzi e da lì è partito tutto.

Narra che i bambini furono allontanati dalla famiglia nel novembre 1998, perché “una nipotina di 8 anni, seguita dai servizi sociali, li aveva accusati…..”.

Cosa significa “seguita dai servizi sociali”?: affermazione vaga, vuol dire tutto e niente, non ci sono date, motivi dell’attenzione dei servizi o altre spiegazioni.  Così posta, l’asserzione vuole ingenerare nel lettore dubbi  sull’attendibilità della bambina. E’ questo comunque uno dei leit motiv della narrazione, come lo fu ai tempi dei processi per avvalorare le tesi difensive: screditare i bambini il più possibile, inquadrandoli come pazzi deliranti.

[[ E’ d’obbligo la seguente precisazione:

La “nipotina” Cristina  nasce nel 1989 da Giuliano Morselli e Monica Roda. e, all’età di sei anni, le maestre segnalano ai servizi di neuropsichiatria infantile l’opportunità di un intervento valutativo per difficoltà nell’apprendimento: il Dott. Veronesi, dopo colloqui personali, familiari e con gli insegnanti, conclude per una diagnosi di normalità dal punto di vista psicologico. Non ci sono in sintesi alcune ipotesi di disturbi psichiatrici, ma “immaturità psico affettiva con disturbo di apprendimento di lieve entità”. Tuttavia, per supportare i segni di disagio della bambina, si ritiene di darle un aiuto psicologico, che viene svolto dalla Dott.ssa Avanzi, del servizio di neuropsichiatria infantile della Ausl, con il consenso dei genitori.

Quindi si tratta di un disturbo di apprendimento di lieve entità, non raro tra i bambini e questo fu il motivo dell’attenzione dei servizi.

Lorena Morselli Covezzi, che Pablo Trincia contatta per prima, gli racconta dei figli allontanati, di non avere più notizia di loro e che le psicologhe  avevano messo in testa ai bambini le accuse contro i genitori, riguardanti abusi orripilanti compiuti nei cimiteri della zona..

Non dice Lorena delle accuse dei figli anche verso gli zii (fratelli di Lorena) e il nonno: non dice Lorena che questi sono stati condannati per gli abusi a danno dei nipoti. Non dice Lorena che le accuse mosse dai figli e dalla nipote riguardavano  anche abusi domestici, non solo abusi compiuti in ambito rituale (cimiteri, satanismo e affini). Nè Pablo Trincia per ora si interessa molto di indagare in questa direzione, né lo farà in seguito.

Ed è qui che  si comincia a delineare il filo conduttore del lavoro di Pablo Trincia: questa ossessiva attenzione verso quella parte della vicenda che sembra la più incredibile, la più surreale, quella legata agli abusi rituali, mentre la parte riguardante gli abusi domestici viene messa in secondo piano, quasi fosse  irrilevante, o peggio, inesistente. Più semplicemente, si evita di parlarne.

Anche ai tempi dei processi, tale “strategia” fu messa in atto dalle difese degli imputati, che puntavano a mettere in evidenza la non credibilità degli abusi rituali, la loro follia e assoluta infondatezza. Il tutto allo scopo di minare la credibilità degli abusi domestici: si diceva che, se erano infondati i primi, lo erano anche i secondi e che i piccoli testimoni, se non erano credibili per i primi, perché suggestionati e indotti, giocoforza non lo erano neanche per i secondi. Ma anche l’accusa deviò in parte sulla stessa direzione. In ragione di ciò, la Corte d’Appello nel processo “pedofili bis”, come per richiamare tutti all’ordine, sottolineava  “la necessità di prestare particolare attenzione al vaglio delle prove raccolte in giudizio relativamente alle violenze sessuali parentali” (pag. 121 C.A. sent.1657/11).

Ed è anche quello che succede ora; sulla scia di Pablo Trincia, i mezzi di informazione stanno privilegiando la storia degli abusi rituali, tanto che sembra che gli altri non siano mai esistiti, nonostante le plurime sentenze di condanna, e in spregio al fatto che più volte la Cassazione aveva affermato la scindibilità delle diverse imputazioni. ]]

 

*capitolo 2*

Dopo il primo contatto con Lorena Covezzi, Pablo Trincia si interessa alla storia delle altre famiglie coinvolte nel caso.

La famiglia Galliera, di cui fa parte il piccolo Dario, il cosiddetto “bambino 0”, è una famiglia fortemente disagiata.

Non si nota nella narrazione rilevante discordanza dalla realtà dei fatti: viene omesso che il Tribunale dei Minori aveva sospeso la potestà dei genitori fin dal 1992, quando Dario aveva due anni  impartendo loro alcune  prescrizioni (come trovare un lavoro stabile),  e aveva affidato la potestà alla Ausl di Mirandola, e che nell’ottobre 1993 il bambino veniva collocato presso il Cenacolo Francescano di Reggio.

A giugno 1995 Dario viene affidato ai coniugi Tonini e, fino a dicembre, vede periodicamente i genitori in incontri protetti. A Natale 1995 iniziano i “rientri” presso la famiglia naturale, che nel frattempo aveva reperito un’abitazione, fornita loro dal parroco della zona, Don Giorgio Govoni.

Dal 1996 al febbraio 1997 Dario si reca presso i genitori naturali una volta al mese, il sabato e la domenica.

Le prime dichiarazioni accusatorie vengono fatte dal bambino nel gennaio 1997, prima alla maestra, poi all’affidataria, e infine alla Dott.ssa Donati.

A proposito della Donati, Pablo Trincia si riferisce a lei come una giovane psicologa tirocinante che alla fine del 1994 aveva iniziato a collaborare con la Ausl, con contratto di libera professione.

[[ Importante notare come Pablo Trincia inquadri alcune persone sottolineandone la giovane età e l’inesperienza, come per la Dott.ssa Donati e per lo stesso P. M. Andrea Claudiani, quasi a voler introdurre fin dall’inizio un dubbio sul loro operato.

Il particolare tornerà spesso in seguito, fino ad una serrata critica sui metodi della psicologa, che si afferma in tono accusatorio essere stata aderente al Cismai, come se quest’ultima fosse  una specie di organizzazione criminale. Ciò non è neanche  esatto: era la Ausl che aveva firmato la convenzione con il Cismai e la psicologa aveva seguito corsi tenuti dalla Dott.ssa Malacrea, ma nessuna supposta “adesione”.

In realtà, il disegno di Pablo Trincia è più ambizioso: la Dott.ssa Donati è un aggancio per condurre, come si vedrà, una vera e propria requisitoria nei confronti del Cismai e del Centro Hansel e Gretel, i cui operatori furono nominati periti dal Tribunale.

Inoltre, per ora non viene riferito che il bambino aveva parlato anche di abusi da parte di certa Busi Maria Rosa, alla presenza del suo convivente Alfredo Bergamini, che provvedeva a filmare e fotografare il tutto. Queste persone saranno imputate, insieme ai Galliera (padre, madre e fratello) e agli Scotta) nel  primo processo (R.G.P.M. 748/97) e condannate in via definitiva per abusi domestici.

Le dichiarazioni di Dario relative agli abusi in ambito cimiteriale sono rese dal bambino successivamente, e saranno oggetto del processo c.d. “pedofili bis”]].

 

*capitolo 3*

Pablo Trincia si occupa in questa parte di Federico Scotta e della moglie thailandese Kaempet Lahmab, ai quali vengono tolti due figli, Elisa, nata nel 1993 e Nick di pochi mesi, a seguito delle dichiarazioni di Dario, che riconosce Federico Scotta con la figlia Elisa e Francesca Ederoclite, con la figlia Marta, come presenti in più occasioni nelle quali venivano compiuti abusi su bambini.

Qui si registrano varie omissioni e distorsioni della storia, piuttosto rilevanti.

Pablo Trincia descrive gli Scotta quasi come una famiglia da Mulino Bianco: il padre di Federico, vedovo, compie frequenti viaggi in Thailandia e una volta porta con sé il figlio allora sedicenne. In tale occasione  Federico conosce quella che diventerà sua moglie, compiuti i diciotto anni. Hanno due bambini e vivono felici e contenti; diventano amici con Francesca Ederoclite, separata con una bambina, Marta, che abita nello stesso stabile. Tutti insieme si vedono spesso e fanno allegre gite ai lidi ferraresi.

L’idillio viene interrotto da un episodio, così riferito da Pablo Trincia: la moglie di Federico ha una lite con un’amica anch’essa thailandese che vuole costringerla alla prostituzione. Nel corso della lite, l’amica afferra la piccola Elisa, di appena un mese, e la scaraventa contro il muro. La bambina viene portata il giorno dopo in ospedale dove le riscontrano una frattura e varie ecchimosi. L’amica viene denunciata, ma nel frattempo i servizi sociali sospendono la potestà genitoriale e affidano la bambina a una famiglia della zona.

[[Le cose non stanno esattamente così:

Elisa Scotta, nata nel 1993, è seguita fin quasi dalla nascita dai servizi sociali; a dieci giorni dalla nascita, viene ricoverata all’ospedale di Mirandola per lesioni al volto, alle orecchie e agli occhi; dopo una settimana, è ancora al Pronto soccorso per ematoma cranico; un mese dopo, è ricoverata in pediatria per circa venti giorni dove le vengono riscontrate  fratture  al cranio, al femore, al radio sinistro e nove fratture costali, per un totale di 12 fratture, non una sola come riporta Pablo Trincia. Dell’ultimo fatto è vero che fu accusata e processata un’amica di famiglia, che, a dire degli Scotta, avrebbe fatto del male alla bimba nel corso di un litigio con Kaempet Lamhab, per storie attinenti all’esercizio della prostituzione. L’amica patteggerà la pena. Nel corso del primo processo tali fatti vengono esaminati e si rilevano diverse incongruenze, come il fatto che la bambina fu portata al P.S. solo dopo 24 ore e nessuna denuncia fu fatta dagli Scotta contro l’amica. Le indagini porteranno alla luce anche altri fatti sulla famiglia di Federico Scotta: a casa del padre Giovanni Battista Scotta verrà trovato materiale pedo-pornografico (per cui sarà accusato anche di ricettazione), e si accerterà che per anni ha abusato dell’altra figlia Giovanna, che in un diario, aveva scritto che il padre abusava di lei da quando aveva 5 anni (il procedimento contro G.B. Scotta si conclude con l’estinzione per prescrizione). Lo stesso Federico Scotta  parlerà nel processo di abusi subiti dalla sorella. Durante uno dei viaggi “culturali” in Thailandia, anche il padre conosce una donna del posto e si risposa: hanno un figlio, Singa, che accuserà poi il padre di abusi sessuali, e ciò sarà oggetto di un separato procedimento penale.

Il 30 aprile 1997, dopo un percorso sorvegliato di graduale riavvicinamento ai genitori naturali, il Tribunale dei minori dispone la sperimentazione del rientro stabile di Elisa in famiglia.

Il 5 luglio 1997, a seguito delle indagini avviate sulla base dei racconti di Dario, Elisa viene allontanata dai genitori e ricollocata in affido. Anche il fratello Nick, nato da pochi mesi, viene allontanato e affidato al Cenacolo Francescano di Reggio Emilia. Il 13 agosto 1997, la visita ginecologica e medico legale conferma sospetti di abuso sessuale. Per la tenera età Elisa non viene sottoposta ad esami testimoniali.

Federico Scotta è stato anche condannato per calunnia nei confronti di un’assistente sociale: aveva detto che questa gli aveva chiesto dei soldi in cambio di relazioni favorevoli.

Era solito portare agli incontri con gli operatori un registratore: anche in giudizio produsse tali registrazioni, ma furono sconfessate dai giudici che non ravvisarono in esse alcuna irregolarità da parte dei servizi.

Pablo Trincia narra poi che Scotta e Francesca Ederoclite scoprono per caso dove si trova Marta, figlia della stessa Francesca e si recano così al Cenacolo francescano di Reggio, riuscendo a interloquire  dalla recinzione con la bambina.

La scena è descritta da Pablo Trincia in modo strappalacrime, come se i due poverini avessero le più innocenti intenzioni: guarda caso, invece, si guadagnano un mandato di arresto per inquinamento delle prove.

Anche qui varie omissioni: in realtà, Marta è seguita fin dalla tenera età dai servizi, per forte conflittualità tra i genitori, che poi si separano, e per loro sospetta inadeguatezza. La madre esercita la prostituzione.

Il 7 luglio 1997 Marta viene collocata presso il Cenacolo Francescano, per decreto del Tribunale dei minori che dispone altresì la sospensione dei rapporti con la madre.

Il 23 settembre 1997 viene sottoposta a visita medico legale, che conferma decisamente l’abuso sessuale ( uno dei più evidenti e gravi). Il 28 settembre Francesca Ederoclite, ai domiciliari, si suicida. Il gesto della madre è sempre stato considerato dalle difese come prova della sua innocenza. Ed anche Pablo Trincia condivide l’idea, come anche nel caso di altre morti che verranno ugualmente ritenute prova d’innocenza. (ricordiamo in proposito il caso di Sagliano Micca, riportato di recente agli onori della cronaca, dove il suicidio di quattro indagati viene assunto come prova della loro innocenza!).

Il primo processo vede imputati Galliera Romano, Galliera Ivan, Ponzetto Adriana (genitori e fratello di Dario), Scotta Federico, Scotta Giovanni Battista (padre di Federico), Busi Maria Rosa, Bergamini Alfredo. Parti offese sono i minori Dario Galliera, Marta Guandalini, Elisa Scotta, Giovanna Scotta.

Sono tutti condannati a pesanti pene detentive, oltre a pene accessorie e al risarcimento dei danni a favore delle vittime parti civili (Giovanni Battista Scotta in separato procedimento a seguito di declaratoria di incompetenza territoriale, che si chiuderà per prescrizione dei reati]].

 

*capitolo 4*

Pablo Trincia si dedica di nuovo a Dario e così narra di un paio di episodi avvenuti dopo l’allontanamento: nel primo la madre, insieme a due uomini, si era avvicinata alla scuola e aveva chiamato il figlio. Poi, uno degli uomini, avvicinatosi al cancello, l’aveva strattonato per un braccio, ma Dario si era liberato aiutato da due compagni. Nel secondo, due uomini l’avevano prelevato da scuola, portato in  un cimitero e minacciato. Poi, l’avevano riportato a scuola.

((Si precisa che:

Gli avvicinamenti a scuola nel dicembre 1997 trovano conferma nelle dichiarazioni della maestra Bondavalli rese  nel

corso dell’audizione dibattimentale del primo processo: la maestra riferisce che la vicenda fu raccontata al rientro dalle vacanze di Natale dapprima da compagni di scuola di Dario, presenti al fatto, e dice che poi i bambini ne parlarono tutti insieme. Anche all’affidataria, sempre in quei giorni, Dario confida degli episodi di avvicinamento, quello prima di Natale, di cui sopra, e di un altro dopo le vacanze. Le persone erano tre, la madre Adriana, Giorgio 1 e Giorgio 2 ( così il bambino si riferisce agli uomini presenti. Uno degli uomini, riferisce il bambino, l’avrebbe strattonato per un braccio attraverso il cancello. Indagini della Polizia confermano le dichiarazioni circa la conformazione dei luoghi e l’effettiva possibilità di avvicinamento di persone al cortile della scuola. Ma le dichiarazioni di Dario trovano conferma soprattutto nelle testimonianze dei compagni di scuola, presenti all’accaduto, e rese in dibattimento  (pagg. 62 e ss. Sentenza I° primo processo). La madre Ponzetto Adriana viene sottoposta agli arresti domiciliari per 30 gg. per aver tentato di inquinare le prove.

Nell’unica volta che accade un avvicinamento verificabile, questo viene effettivamente provato.

Da notare che a scuola i primi a parlare del fatto sono i compagni di scuola, non Dario, come riferito dalla maestra.

Gli episodi di avvicinamenti e minacce da parte dei familiari ai bambini sono stati frequenti, hanno interessato tutti i piccoli e accaddero principalmente durante il corso dei processi. Anche negli anni successivi, specie al compimento della maggiore età, furono spesso avvicinati dai familiari naturali,  e ogni volta che accadeva il trauma che ne riportavano era evidente. Tuttavia, raramente si è potuta dare la prova di ciò, non essendoci quasi mai testimoni o altri riscontri certi.

Da questo l’autore deduce sic et simpliciter che tali episodi non erano veri, ma erano frutto della fervida fantasia dei bambini, cui le psicologhe avevano ” ovviamente” fatto un adeguato lavaggio del cervello. L’autore tornerà spesso su questi fatti, per rimarcare l’inattendibilità delle vittime e la suggestione da parte delle psicologhe, fino addirittura all’età adulta. Sembra non avere dubbi su ciò forse non sapendo che questi comportamenti sono tipici di chi vuole intimidire testimoni, specie bambini, e vengono attuati facendo molta attenzione a non essere scoperti. L’autore avrebbe fatto meglio a indagare un po’ di più  e chiedersi il perché questi episodi venivano denunciati durante il corso dei processi e puntualmente al compimento della maggiore età.    

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