COMITATO VOCI VERE VITTIME DELLA BASSA MODENESE
Commissione d' inchiesta Regione Emilia Romagna (Audizione del 08/10/2019 )

Relazione N.1 Annalisa Lucarelli - Rappresentante Comitato VOCI VERE
Commissione speciale d’inchiesta circa il sistema di tutela dei minori
Regione Emilia Romagna
Audizione 8.10.2019
La costituzione del Comitato “VOCI VERE, VITTIME DELLA BASSA MODENESE”
Il Comitato “Voci vere, vittime della bassa modenese” si è costituito nel giugno 2019 ed è composto da 27 membri di cui 7 ragazzi vittime di abusi e violenze e 20 fra genitori affidatari e adottivi. Lo scopo del Comitato è quello di tutelare coloro che nella vicenda di circa 20 anni fa furono vittime di reati sessuali, perlopiù accertati giudizialmente, rispetto alla ricostruzione distorta e univoca che oggi, attraverso i media, si sta facendo sull’accaduto e che di fatto li vittimizza ancora una volta, costringendoli a rivivere, loro malgrado, i traumi passati. Il Comitato intende informare la pubblica opinione su ciò che accadde realmente, con ogni mezzo possibile, anche se, per il momento, lo spazio che ci viene concesso dai media non è molto. Abbiamo rilasciato alcune interviste, anche da parte dei ragazzi, e abbiamo fatto diversi comunicati inviati ai mezzi di informazione e pubblicati sul nostro sito.
L’attuale rielaborazione dei fatti della bassa, su cui intendiamo svolgere controinformazione, ha preso l’avvio dall’inchiesta dei giornalisti Pablo Trincia e Alessia Rafanelli, denominata “Veleno”, dapprima diffusa circa due anni fa attraverso un podcast, e poi con un libro pubblicato ad aprile di quest’anno.
Già il fatto di aver voluto riportare alla ribalta mediatica un caso ormai chiuso da venti anni con plurime sentenze definitive di condanna, è stata un’azione irrispettosa nei confronti delle vittime, allora infradecenni, che avrebbero avuto diritto all’oblio, anche perché collocati in ambiente protetto ed alcuni di loro adottati, anziché essere posti di nuovo sotto i riflettori, e costretti a ricordare traumi passati.
Ma soprattutto il modo in cui è stato condotto il lavoro, suscita ben più di semplici perplessità.
L’inchiesta è criticabile sotto diversi aspetti: l’autore esprime quelle che sono sue opinioni, e secondo il Comitato, la sua non è un’inchiesta vera e propria. La ricostruzione dei fatti è basata solo su testimonianze di parte e così è ben diversa da quella che fu effettuata nei processi, alla presenza di tutte le parti in causa. E’ stata perciò data al pubblico una versione parziale della vicenda, che ripetuta in modo ossessivo dai media, spinge la gente a credere che sia verità. Una verità che assume esserci stato un clamoroso errore giudiziario, a seguito di dichiarazioni dei piccoli testimoni che sarebbero state indotte dalle psicologhe, di relazioni mediche falsate e di perizie diagnostiche anch’esse errate e condotte con metodi suggestivi. Quindi, per gli autori, tutti innocenti, processi da rifare in toto, ergo allontanamenti ingiustificati.
E’ vero che i giornalisti hanno cercato qualche altra opinione, ma l’hanno fatto in modo per molti aspetti censurabile: intanto hanno contattato i ragazzi, uno alla volta, presentandosi con già in tasca una verità precostituita, dicendo loro di avere i documenti che dimostravano che le cose da loro dette non erano vere. Tutto ciò è sconcertante e ci chiediamo con quale diritto gli autori siano andati a cercare vittime di reati particolarmente gravi per stabilire quale sia il loro bene. Sono state poi tenute fuori le famiglie affidatarie e adottive, non chiedendo mai la loro opinione, che sarebbe stata importante, anche perché molti avevano testimoniato nei processi e quindi conoscevano bene i fatti. Tralasciando i particolari di taluni avvicinamenti particolarmente invadenti, si osserva che se gli autori avessero voluto fare una vera e propria inchiesta, non dovevano partire già da una tesi preconfezionata, ma dovevano storicamente ricostruire i fatti, con l’apporto di tutte le persone coinvolte, e con maggiore aderenza agli atti giudiziari visti nel loro complesso. Al contrario, degli atti si è preso soltanto ciò che poteva avvalorare la tesi già scritta. Abbiamo visto video delle audizioni protette riportati per pochi frames, del tutto avulsi dal contesto generale e perciò facilmente interpretabili nel senso voluto dagli autori. Si è fatto un esame parziale delle perizie, sia medico legali sia psicodiagnostiche, sempre partendo dal presupposto che erano tutte sbagliate o condotte con metodi suggestivi. Si è dato molto spazio alle famiglie cui sono stati allontanati i figli, anziché alle vittime, facendo intendere chiaramente che quelle decisioni erano tutte immotivate e che queste famiglie sono state le vere vittime. Non si è tenuto conto dei decreti del T.M. che sono resi indipendentemente dagli esiti giudiziari e che sono stati giudicati legittimi dalla Corte di Strasburgo. Ci furono per la precisione 16 decreti di decadenza o limitazione (per 1 caso) dalla potestà genitoriale, di cui 11 dichiarazioni di adottabilità e 5 provvedimenti per affido fino alla maggiore età.
Le tesi portate avanti nel lavoro di Trincia non sono neanche motivate dall’autore su piano scientifico, come invece sarebbe stato necessario: se si afferma che persone siano state suggestionate al punto di creare falsi ricordi ( che addirittura permangono fino all’età adulta), questo va motivato su base scientifica. Trincia prova in effetti a ricondursi ad alcune teorie, specialmente sul “falso ricordo” ma il problema è che le interpreta in modo del tutto personale, adattandole alla sua tesi. Inoltre, vengono oggi fatti dei parallelismi con altre vicende, che nulla hanno a che fare con la bassa modenese, allo scopo finale evidente di delegittimare tutto il sistema di tutela dei minori. Così, per esempio, quando è scoppiato il caso Bibbiano, il Sig. Trincia è stato tra i primi a dire che gli psicologi erano gli stessi già operanti nella bassa, pertanto, come avevano sbagliato lì, sicuramente avevano sbagliato anche a Bibbiano. Nulla di più errato e strumentale: al tempo dei processi, è vero che alcuni psicologi di Hansel e Gretel furono incaricati dal Tribunale di effettuare perizie psico diagnostiche su taluni bambini (non tutti, si badi), ma il contesto era ben diverso da Bibbiano. Nel caso della bassa c’erano i processi in corso e questi periti agirono in contraddittorio con i periti delle difese, che ebbero sempre la possibilità di replicare.
Anzi, per essere più precisi, e questo è in atti, i periti delle difese concordarono in linea generale con le risultanze dei periti del GIP sull’attendibilità dei piccoli testimoni. Questo fatto è totalmente pretermesso sia dall’autore di “Veleno”, sia nel dibattito che si è poi sviluppato.
Come pure per le perizie medico legali, vediamo che vengono mosse accuse soprattutto ad una dottoressa (Maggioni) che effettuò le visite nell’immediatezza degli allontanamenti. Anche qui si sono riesumati altri casi in cui si afferma che questa dottoressa avrebbe sbagliato diagnosi, per affermare che ella era un’incompetente in materia. Senza entrare nel merito di questi casi, poiché per esprimere giudizi occorrerebbe un’approfondita conoscenza di quegli atti processuali, nel nostro caso c’è prima di tutto da precisare che la dottoressa in questione non fu la sola a fare le visite, ma fu affiancata anche da altro medico, il Dott. Bruni (di cui non si parla mai).
Anche qui i periti nominati dalle difese furono posti in grado di esaminare le risultanze medico legali di Maggioni e Bruni e fecero tutte le loro osservazioni. Ma c’è di più: il Tribunale nominò un collegio peritale, il quale, concordemente ai periti delle difese, stabilì i criteri di valutazione sui segni riscontrati e sulla base di questi, si arrivò ad una valutazione congiunta di indicatività o sospetto di abuso per 15 bambini su 16. Pertanto, non corrisponde a verità l’affermazione che dalle perizie mediche non risultavano segni di abuso, e su questi dati concordarono i periti delle difese.
Una breve riflessione è opportuna anche per rispondere a quanti, riferendosi alle assoluzioni della nostra vicenda, parlano di false accuse. Gli imputati vennero condannati tutti per abusi intrafamiliari, salvo quattro di loro, due padri e un fratello delle parti offese assolti per non aver commesso il fatto, una madre perché il fatto non sussiste (Giacco Santo, Giacco Salvatore, Bonfatti Massimo, Barelli Roberta). Ci fu poi un’altra assoluzione per una persona non imputata di reati sessuali (Spinardi). Nel processo Covezzi ci fu assoluzione, parimenti per non aver commesso il fatto. Quindi fu accertato che il fatto dell’abuso di per sè era avvenuto. Il prelato coinvolto morì prima della sentenza, un altro imputato (Scotta G.B., padre di Federico Scotta) vide il suo processo interrompersi per prescrizione del reato. Occorre distinguere tra false accuse e accuse non provate. Diverse ricerche evidenziano che sia rilevante il numero di accuse non provate, mentre al confronto è scarso il numero di quelle false, cioè mosse intenzionalmente o mosse da fraintendimenti. Quasi sempre nell’accertamento dell’abuso l’unica prova è la dichiarazione del bambino. A parte i rarissimi casi di rei confessi, di flagranza o di testimoni del fatto, l’unico che testimonia è il bambino. Una serie di fatti (paura, vergogna, esiti post traumatici, minacce paventate dall’abusante), possono portare lo stesso piccolo testimone a non esprimere compiutamente tutto ciò che avrebbe da dire. Per questi motivi, occorre prestare massima attenzione prima di parlare di false accuse tout court, dovendosi invece tenere ben presente che nella maggior parte dei casi si tratta di accuse non provate.
Vale approfondire anche le ripercussioni del lavoro di Trincia sul sistema della tutela dei bambini, in special modo sull’affido. Certamente le sue tesi corroborano l’idea che la famiglia naturale sia sempre e comunque l’unica in grado di garantire una corretta crescita del minore. Affermando che si trattava di false accuse, e quindi i minori sono stati allontanati ingiustamente, o meglio, per usare il termine che oggi va per la maggiore, sono stati “sottratti” , ha dato l’assist a un aumento esponenziale di coloro che scendono in piazza a gridare contro i “ladri di bambini” , che sarebbero indistintamente tutti gli operatori dei servizi, gli psicologi e le stesse famiglie affidatarie, accusate anche queste di lauti profitti. Si noti anche che tutti quelli che si levano contro gli operatori “ladri di bambini”, ugualmente si levano contro di loro ( e qui giustamente) se per caso sono stati tardivi a segnalare un fatto e poi è successo l’irreparabile.
Ergo, la quadra di tutto sembra oggi essere che i bambini non dovrebbero essere allontanati dalle famiglie naturali fino a che non c’è la certezza assoluta che sono maltrattati o abusati, e come molti affermano, fino a che non si raggiunge il terzo grado di giudizio ( a cui di solito si arriva in media dopo 5 anni). Ci chiediamo perché non si aspetti il terzo grado di giudizio anche per coloro che oggi sono mediaticamente messi alla gogna prima che un processo sia iniziato e molto spesso, come nel caso di operatori che agirono nei nostri casi, in assenza anche di un inizio di indagini. E ci chiediamo perché coloro che furono condannati, anche due volte per complessivi sei gradi di giudizio, vengano presentati alla pubblica opinione come innocenti, prima ancora che il processo di revisione sia terminato e anche in casi in cui non sia ancora stato richiesto.
Il fatto grave è che ha preso campo una visione manichea che vede il male tutto da una parte e il bene dall’altra. Così facendo, si hanno gravi conseguenze per una efficace tutela dei bambini. Da una parte c’è il rischio concreto che gli operatori dei servizi non segnalino più tante situazioni, per paura di conseguenze negative, dall’altra anche le stesse famiglie che sarebbero disposte ad accogliere il minore in difficoltà, potrebbero essere a ciò disincentivate. Al contrario, l’affido costituisce un valido strumento e non per il solo aiuto al minore, ma anche spesso per supportare la famiglia naturale onde ricostituire un sano rapporto con il figlio, e questo non va dimenticato, se si vuole continuare a dare aiuto anche alle famiglie in difficoltà.
Nel nostro caso, i bambini furono collocati tutti in affido familiare e questo sappiamo anche su mandato del Tribunale, che aveva richiesto un ambiente protetto di natura appunto familiare, in cui collocare i minori separatamente, per evitare influenze reciproche tra loro. Ovviamente, visto che le varie situazioni si presentavano con urgenza immediata di soluzione, a volte per impossibilità pratica di reperire subito una famiglia affidataria, alcuni bambini furono collocati provvisoriamente, per brevissimo tempo, in comunità. I servizi hanno seguito e supportato le famiglie affidatarie fino alla scadenza dell’affido, stabilito dal Tribunale fino alla maggiore età. Anche nei casi di adozione, pur cessando ovviamente il contributo economico, non è cessato il supporto di psicoterapia che è stato assicurato dai servizi fino alla maggiore età.
Le vicende processuali
Primo processo n 748/97 RGPM.
Con sentenza del 10 aprile 1998 del Tribunale di Modena si dichiara la responsabilità di Romano Galliera, Ivan Galliera, Adriana Ponzetto Federico Scotta, Alfredo Bergamini e Maria Rosa Busi, per avere, in concorso tra loro,e con Giacco Antonio e Calzolari Andrea, minori all’epoca dei fatti e giudicati separatamente, e con altri ignoti, perpetrato i delitti di violenza carnale aggravata ed induzione e sfruttamento della prostituzione in danno di Davide Galliera, Mary Guandalini e Elena Scotta minori infradecenni. Il Tribunale infligge pesanti condanne detentive, oltre pene accessorie e perdita della potestà genitoriale. Nel presente processo è imputato anche Giovanni Battista Scotta, padre di Federico, per abusi compiuti sulla figlia Giancarla, ma il Tribunale qui dichiara la propria incompetenza territoriale, essendo i fatti avvenuti a Bologna, precedente residenza degli Scotta ( il processo a Bologna si conclude con l’estinzione per prescrizione del reato).
Questo procedimento prende l’avvio dalle prime rivelazioni di Davide Galliera, e poi di Mary Guandalini, concernenti gli abusi avvenuti nell’abitazione dei Galliera e della Busi, nonché nell’abitazione, non individuata dalle indagini, dei tali Marco e Matteo.
La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza n. 771 del 22\3\99 conferma la sentenza di 1°, e diviene irrevocabile per rigetto del ricorso in Cassazione. E’ stata respinta domanda di revisione nel 2001/2002 da parte di alcuni condannati.
In totale, i condannati sono sei. Per Scotta Giovanni Battista il separato procedimento a Bologna si chiuderà per prescrizione.
Secondo processo (c.d. pedofili bis) n.1381 RGNR
Il procedimento, avente per oggetto altre ipotesi di reato, prende l’avvio da successive dichiarazioni di Davide Galliera, rese dal settembre 1997, riguardanti abusi di tipo rituale, avvenuti nei cimiteri della zona (Massa Finalese, Finale Emilia, Gonzaga): le indagini si amplieranno anche per le dichiarazioni di Mary Guandalini e delle minori di Massa Finalese Martina Morselli e Marcella Giacco, vittime di abusi sessuali, la cui relativa notizia di reato perviene autonomamente e separatamente alla Procura, ma che, per la coincidenza di tempi e luoghi, per il coinvolgimento delle medesime persone e soprattutto per l’analogia delle narrazioni dei bambini, diviene anch’essa oggetto del presente dibattimento. Il processo ha per oggetto anche un episodio di abuso patito da Davide Galliera e da Mary Guandalini il 26 dicembre 1996, per il quale è imputato Don Giorgio Govoni ; inoltre riguarda ripetuti episodi, tre nella scuola di Pegognaga ed uno nella scuola di Gonzaga, nel corso dei quali Davide Galliera sarebbe stato avvicinato – i primi con la complicità della sua maestra elementare Rita Spinardi- minacciato e percosso, sia dai genitori sia dal Giorgio di cui il bimbo aveva in precedenza parlato; Infine, il processo tratta anche degli abusi subiti da Martina e Riccardo Morselli, Marcella Giacco, i quattro fratelli Covezzi, Selena Bonfatti, Melissa Verona, sia in ambito familiare che rituale.
Il processo si conclude con la sentenza n.87 del 5.06.2000: vengono accertati gli abusi domestici e quelli compiuti nell’ambito cimiteriale. Vengono condannati Galliera Romano, Galliera Ivan, Ponzetto Adriana, Scotta Federico, Spinardi Rita per il reato di cui all’art. 605 c.p.; Scotta Federico e Kaemphet Lahmab per il reato di cui all’art. 609 quater c.p.; Morselli Giuliano, Roda Monica, Morselli Emidio, Morselli Enzo, Morselli Giuseppe, Bonfatti Massimo, Giacco Santo e Giacco Salvatore per il reato di cui al 609 quater ult. Co. C.p.; Morselli Giuliano e Roda Monica anche per il reato di cui all’art. 572 c.p.:
Vengono assolti Busi Maria Rosa per non aver commesso il fatto e Barelli Roberta perché il fatto non sussiste; Si dichiara non doversi procedere contro Govoni Giorgio per estinzione dei reati ascritti per morte del reo.
Si condannano gli imputati al risarcimento dei danni in favore delle parti offese, costituite parti civili, Davide Galliera, Mary Guandalini, Elena e Nick Scotta, Marcella Giacco, Martina e Riccardo Morselli, Selena Bonfatti e i quattro fratelli Covezzi.
La sentenza d’appello n.1657 dell’11 luglio 2001 assolve gli imputati dai reati relativi ai fatti commessi nei cimiteri, e assolve Santo Giacco, confermando per il resto la sentenza di primo grado, anche nelle statuizioni civili. Vengono perciò ridotte le pene inflitte in prime cure, salvo che per Scotta Federico, al quale viene irrogata la condanna ad ulteriori anni 2 di reclusione per la continuazione con i reati per i quali aveva già riportato condanna nel primo processo.
La Corte di cassazione, con sentenza n.2234 del 26.12.2002, conferma la sentenza d’appello sui reati commessi in ambito cimiteriale ponendo maggiormente l’accento sulla mancanza di prove sulle circostanze riferite dai bambini.
Accoglie i ricorsi del P.M. e delle parti civili riguardo alla posizione di Santo Giacco, per gli abusi commessi sulla figlia Marcella, annullando la sentenza con rinvio ( il giudice del rinvio assolverà Giacco per non aver commesso il fatto quanto al concorso morale degli abusi con altri e perché il fatto non sussiste per gli abusi commessi direttamente).
Respinge i ricorsi degli imputati, confermando così per il resto la sentenza d’appello.
In totale, i condannati sono sette. Tra gli assolti, due per non aver commesso il fatto, uno (Spinardi) non era imputato di reati sessuali.
In sintesi, reati sessuali in ambito domestico sono stati tutti ritenuti sussistenti, mentre gli abusi collegati ai rituali insussistenti
Il processo ai coniugi Covezzi.
Il Tribunale di Modena, con sentenza n. 56 del 24.09.2002, condanna i coniugi Covezzi a 12 anni di reclusione per aver compiuto atti sessuali con i figli Valeria, Paolo, Enrico e Agnese.
Il 10 giugno 2010 la Corte d’Appello di Bologna li assolve per non aver commesso il fatto.
Nel 2011 la sentenza viene annullata dalla Cassazione con rinvio: la Corte li assolve nuovamente per non aver commesso il fatto, recitando testualmente “se è indubbio e giudizialmente accertato che i minori vennero abusati dagli zii, non vi è prova certa che analoghi abusi avvennero ad opera dei genitori” .
La sentenza della Corte, ritenuta non censurabile poiché “reca corretta, motivata applicazione della costituzionale regola di giudizio dell’oltre il ragionevole dubbio”, viene confermata in Cassazione con sentenza n.2287 del 2014.
Le sentenze di assoluzione, oltre che dal PG, sono sempre state impugnate dai quattro fratelli/persone offese, costituiti parte civile e nel frattempo divenuti ampiamente maggiorenni.
Il processo a Enzo, Emidio e Giuseppe Morselli
Il processo si instaura a seguito delle dichiarazioni di Valeria Covezzi, che rivela alla psicologa Valeria Donati di aver subito abusi dagli zii e dal nonno Emidio, Giuseppe e Enzo Morselli. Le accuse vengono reiterate al P.M. il 19.11.99, al GIP il 10.12.1999, nel presente processo il 16.05.2003. Le condotte criminose, con rapimento della minore all’uscita da scuola, sarebbero avvenute quando si stava svolgendo il processo “pedofili bis”.
Con sentenza n.240/2005 il Tribunale assolve gli imputati; la sentenza è confermata dalla C.A. di Bologna (n.11024/2012).
Il processo a Canti Carlo
Il processo vede imputato l’Avv. Carlo Canti, accusato di minacce nei confronti di Covezzi Valeria e Covezzi Paolo al fine di indurli a deporre il falso nel procedimento penale n. 386/99 in cui erano persone offese e testimoni. Viene condannato dal Tribunale di Modena (sent. N. 136 del 26.02.02; RGNR 10098/99; 3282/00 RG Gip). Viene assolto in 2°, con sentenza confermata in Cassazione.
Procedimenti innanzi al T.M.
Il T.M. ha emesso decreti di decadenza dalla potestà genitoriale e dichiarazione di adottabilità per 11 minori; decreti di decadenza dalla potestà e limitazioni per 1 caso, con affidi fino alla maggiore età per 5 minori
Corte di Strasburgo
Per quanto riguarda il ricorso alla Corte europea di Strasburgo, attivato per i quattro minori Covezzi, esso è stato respinto quanto al merito degli allontanamenti ed accolto soltanto in relazione ad un punto riguardante un ritardo nella audizione delle parti da parte del TM.
Quindi, solo per dare il senso della complessità dei fatti e dei processi, 11 giudici di tre gradi nel primo processo, 11 giudici di tre gradi nel secondo processo hanno ritenuto di condannare a pene severissime. Nel terzo processo, a parte il collegio di primo grado, per due volte il PG ha ritenuto di ricorrere per cassazione ed una volta la Corte di cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione.
Il processo Di Palma
Questo processo riguarda un caso di abusi che seguì un separato iter giudiziario, ma per certi aspetti collegato agli altri. Il caso ha per oggetto abusi subiti dal 1995 da F.A. da parte dello zio materno Di Palma L. Tra il 1995 e il 1998. Dopo prime rivelazioni riguardanti abusi domestici, il bambino fa dichiarazioni concernenti abusi rituali, facendo anche lui riferimento a cimiteri della zona, ed accusando anche i genitori. Il processo a carico dello zio si conclude con la condanna definitiva di quest’ultimo per abusi intrafamiliari. Il processo a carico dei genitori per i reati in ambito rituale si conclude con l’assoluzione.