top of page

CRITICA AL LIBRO VELENO

Terza Puntata
 

*Capitolo 8*
In questo capitolo Pablo Trincia inizia a parlare di altri casi che vengono alla luce in concomitanza con la fine del primo processo, non legati alle rivelazioni di Dario e che saranno oggetto del secondo processo (c.d. pedofili bis).

Il primo caso è quello di Margherita G. La bimba viene allontanata, all’età di dieci anni, a marzo 1998, a seguito della segnalazione di una vicina di casa al direttore scolastico. La donna riferisce che a Margherita vengono fatte vedere cassette porno, delle quali poi mima le scene giocando con i suoi figli e che i genitori la portano fuori la sera fino a tardi nei pub della zona. Il Direttore riferisce alla P.G. locale., che segnala al T.M., il quale disporrà  l’allontanamento.

Margherita era già attenzionata fin dai sei anni dai servizi per le plurime e ingiustificate assenze da scuola, anche fino a sei mesi in un anno, e per le conseguenti difficoltà dell’apprendimento.

Dopo una settimana dall’allontanamento, Margherita viene visitata dalla Dott.ssa Maggioni.

Circa un mese dopo,  inizia a raccontare all’affidataria e poi alla psicologa dell’Ausl, di abusi subiti in un locale di Finale Emilia, dove veniva portata la sera dal padre, compiuti da certo “Giuli”.

Dopo l’estate 1998 coinvolge negli abusi subiti anche il padre Santo.

A questo punto Trincia fa rientrare sulla scena la Dott.ssa Donati, che in tutta la storia sembra essere il suo bersaglio principale. Dopo aver rifatto cenno alla sua inesperienza, l’autore tenta di esaminare, non senza una certa superficialità, gli aspetti più “tecnici” del suo operato. Il modo empatico di approcciarsi al bambino, il sollecitare il bambino a parlare, insistere con le domande, in poche parole Pablo così descrive la “tecnica dello svelamento progressivo”, che viene applicata dalla psicologa, e che, secondo lui, sarebbe carica di suggestione. Trincia riporta poi ironicamente gli apprezzamenti che la Procura di Modena aveva riservato alla psicologa per la sua correttezza, come se il giudizio dei magistrati non contasse nulla di fronte alla sua fantasiosa certezza che la psicologa avesse suggestionato la bambina.

In proposito, occorre precisare i seguenti fatti:

in realtà, la vicenda di Margherita G., nata nel 1988, allontanata il 16 marzo 1998, a seguito di segnalazione di una vicina di casa al Direttore scolastico, viene presa in esame già nel primo processo, quando si era proceduto alla verifica delle dichiarazioni di Dario riguardanti tali Iacopo e Andrea.

Nei racconti del bambino, venivano indicate queste due persone dalle quali il padre lo portava, che avrebbero commesso abusi su di lui. Dario disse che abitavano in una casa di fronte alla casa gialla (quella dove abitava da piccolo, in via A. Volta), avevano ciascuno una Vespa, rossa per Andrea, nera per Iacopo. Fu accertato che vicino alla casa di Dario vi erano varie villette come lui le aveva descritte e di fronte a una di esse era parcheggiata una Vespa rossa, intestata a C. A., padre di C. Andrea, di circa 18 anni. Il C. Andrea era risultato essere molto amico di tale G. Antonio, ( il nome secondo i giudici poteva essere assonante con Iacopo) corrispondente alla descrizione fisica che Dario aveva fatto di lui, e abitante anch’egli in via Volta, vicino ai Galliera. Da bambino Antonio G. era stato sorpreso da un insegnante mentre aveva denudato un compagno e cercava di avere un rapporto sessuale con lui. Antonio G. era il fratello di Margherita.

Dario menzionava al giudice il cognome di Andrea, e riconosceva i due ragazzi dalle foto mostrategli dal PM. nell’audizione del 27 giugno 1997. I due ragazzi, minori all’epoca dei fatti, sono stati giudicati in separato procedimento al T.M.

Nel primo processo venne sentita come teste Milena P., insegnante di sostegno di Margherita. Ci troviamo nel marzo 1998, il primo processo è quasi al termine, la bambina è già stata allontanata e sottoposta a visita medica.

Milena P. riferì delle plurime assenze da scuola, che la bambina per giustificare il fatto aveva detto alla maestra che i genitori la portavano fuori la sera fino a tardi, della segnalazione della vicina di Margherita, della denuncia alla P.G. La maestra disse poi che la bambina le aveva riferito che la sera la portavano in locali della zona e le aveva fatto il nome di un amico di famiglia, presente in tali occasioni,  tale Gino Remondi. La maestra precisò che il Remondi aveva un figlio di 11 anni, C.

La perizia medica su Margherita aveva evidenziato la compatibilità elevata con pregressi abusi.

Margherita abitava in via Volta 9, a Massa Finalese dove aveva abitato la famiglia Galliera fino circa al 1992, prima dello sfratto.    

Le prime rivelazioni, all’affidataria e alla Dott.ssa Donati, incaricata del sostegno psicologico dal TM, riguardarono un certo Giuli, che aveva abusato di lei in un pub a Finale Emilia. La bambina veniva portata spesso li la sera: i genitori andavano a trovare l’altro figlio, che abitava sopra il pub e la lasciavano nel locale. Dopo l’estate 1998 accusò anche il padre. Nell’ottobre 1998 dava inizio al  secondo gruppo di rivelazioni, sugli abusi rituali. Dal febbraio 1999 si riferiva espressamente a un cimitero, dove veniva portata e dove le persone erano travestite da diavoli, e c’era anche qualcuno che faceva fotografie e filmini. Indicò presenti nel luogo il padre, Giuli, Giuseppe, Giovanni e il fratello Salvatore. Infine riferiva di “cose strane” con  sangue, uccisioni, di un cadavere gettato nel Panaro. Precisò che le persone si vestivano con tuniche e mantelli presi al castello. Fra i nomi di bambini riferiti da Margherita, c’erano Veronica e il fratello Pietro che affermava essere accompagnati dalla madre, che poi “tornava a casa, dopo aver parlato con Giuli”.

I particolari furono del tutto simili alle dichiarazioni degli altri bambini; ad esempio le decapitazioni, l’uso dei coltelli, i bambini appesi ad un uncino: nel giugno 1999 fece il nome di Giorgio per la prima volta all’affidatario dicendo di averlo già visto in chiesa mentre dava la comunione. In precedenza, aveva detto alla psicologa che non avrebbe mai detto il nome della persona che secondo lei era il diavolo in persona, perché ne aveva troppa paura; alla fine le disse che era un prete, ma  a lei non volle fare il nome.

In un quadro della personalità normale e coerente all’età, il tribunale sottolineò due aspetti incongrui; il fatto che dopo l’allontanamento, Margherita si integrò fin da subito nella nuova famiglia e mai manifestò il desiderio di rivedere i genitori, e  l’abnorme paura del diavolo, “profonda, persistente e resistente ad ogni ragionevole rassicurazione”.

Il 1 ottobre 1999, Margherita accompagnò l’Ispettore Pagano, il magistrato e la psicologa in un sopralluogo al cimitero di Finale. La bambina indicò con estrema precisione i luoghi e il tragitto, compresa la strada pedonale che dai giardini pubblici portava al castello e la strada da qui al cimitero, mostrando di conoscere assai bene i luoghi.  Arrivati al cimitero Margherita ebbe una improvvisa crisi di pianto.  Nel corso del sopralluogo la bimba indicò un palazzo dove disse che vi abitava un certo “geometrico” Roberto, presente anche lui al cimitero e al quale venivano consegnate le videocassette. Dalle indagini risulterà che un certo geometra di nome Roberto T. aveva lavorato in quello stabile: intercettazioni alla sua utenza fornirono altri elementi di possibile riscontro, specie in relazione al possibile commercio di materiale pedopornografico, ma non fu possibile ottenere indizi sufficienti.

Margherita riferì che il prete portava i bambini al cimitero su un furgone bianco con le scritte (anche tutti gli altri bambini avevano parlato di questo veicolo e il fatto fu riscontrato dalle indagini), e che faceva il camionista, avendolo visto una volta in paese con il camion. Nel furgone tenevano i vestiti per i travestimenti e lì facevano vestire i bambini. Interessante il fatto che da riscontri investigativi, risultò effettivamente che nel castello di Finale venivano conservati i costumi che servivano per la rievocazione storica annuale di Finale. Fu accertato che nel periodo dei fatti, al Castello c’erano dei lavori e la stanza dove erano custoditi i costumi era accessibile dall’esterno ( testimonianza del sindaco di Finale, citato dalla difesa). Anche i rapporti stretti tra la famiglia di Margherita e il Remondi fecero  pensare ad un possibile collegamento con il Bergamini, amico intimo del Remondi.

Si ricorderà anche che la bambina si riferiva a Veronica e Pietro e disse che la loro madre parlava con il Giuli quando li accompagnava al cimitero. La madre di Pietro e Veronica è la sorella di Giuliano Morselli. Dall’interrogatorio di Giuseppe Morselli (Margherita aveva fatto il nome di certo Giuseppe) emerge una sua conoscenza occasionale con la famiglia della bambina. I gestori del pub  confermarono la presenza assidua nel locale della famiglia G., del Remondi, della Busi, di Debora Galliera, di un amico del Remondi, tale Cristiano Ba., la cui compagna ha una bambina di nome Sara, anch’essa indicata da Margherita come vittima di abusi. Furono fatte indagini anche in questa direzione, ma sembra che non ci furono esiti.

Il Giuli, indicato come soggetto abusante da Margherita, corrispondeva in modo preciso alla descrizione fatta dalla bambina di Giuliano Morselli., imputato e condannato nel secondo processo.

Inoltre, nonostante i familiari avessero escluso decisamente che Margherita fosse mai stata al castello e al cimitero, la bambina mostrò di conoscere molto bene i luoghi e vi condusse gli inquirenti. Anche i riferimenti alle riprese foto e video e alle cassette registrate che venivano scambiate tra gli adulti offrivano riscontro alle dichiarazioni di Dario, e anche, come si vedrà, a quelle degli altri minori.

Interessanti furono i riferimenti della bimba alla famiglia Galliera, anche loro presenti ai riti: ella non li chiamava per nome, ma li chiamava “i gobbi”, cioè con un soprannome, che si accertò essere in uso solo nella cerchia familiare, quindi Margherita lo riferì chiaramente per esperienza diretta, non per possibili suggestioni. Ella riferisce che i “gobbi” portavano al cimitero anche il loro figlio Dario. La bimba effettuava il riconoscimento dei Galliera e di Gino Remondi con il figlio C. dalle foto mostrategli dal giudice. Questa precisa conoscenza dei Galliera è significativa se si considera che i rapporti tra loro e la famiglia di Margherita si erano interrotti nel 1992, quando i Galliera si erano trasferiti e Margherita aveva solo tre anni.

La perizia psicodiagnostica (Farci, Roccia, Pagliuca), basata su colloqui diretti e su test (favole della Duss e CAT effettuati dai periti; Rorsach, Blacky pictures e Fat acquisiti dalla Dott.ssa Donati) escludevano patologie mentali, come  confermato anche il perito della difesa Pietri. La bambina appairiva ipercontrollata e in apparente distacco emotivo. I periti rilevarono l’attivazione del meccanismo di difesa interiore della negazione delle emozioni, frequente nelle vittime di abusi. Il Rorsach evidenziava invece un forte choc, essendo un test che sfugge al controllo conscio e costringe a ricontattare il trauma.

I vissuti emersi dalla perizia furono di vergogna, senso di colpa, paura.

La personalità era quindi quella tipica della vittima di abusi e il Tribunale concluse per l’attendibilità della teste. Margherita, come Dario era partita dal rivelare fatti meno gravi (atti sessuali dei fratelli) fino ad arrivare a quelli più gravi (abusi da parte di terzi, abusi dei genitori, abusi rituali, riferimento al “capo” Don Giorgio). Venne altresì escluso qualsiasi possibile intervento suggestivo da parte di terzi; il tribunale affermava che “nell’ipotesi di personaggi persuasori, le dichiarazioni accusatorie non avrebbero avuto i caratteri di frammentarietà e di progressività sopra esaminati, e certo sarebbero state prive degli aspetti inaspettati e cruenti).

La perizia medico legale concluse per una alta compatibilità con pregressi atti di abuso.

 

Breve parentesi

E’ bene a questo punto evidenziare come siano emerse, in riscontro alle dichiarazioni di Dario e poi degli altri bambini, circostanze che accomunano le diverse persone, precisamente il gruppo di Finale (Bergamini, Galliera, G.) al quale si accorperà anche il gruppo Morselli, e il gruppo di Mirandola (Scotta, Ederoclite). Sono indubbiamente molte, anche su questo versante, le circostanze riscontrate alle dichiarazioni di Dario: l’identificazione dei due ragazzi con la Vespa, Margherita, sorella di Antonio G., che risulta aver subito abusi, la presenza in entrambi i casi di quel Remondi (amico del Bergamini e fra l’altro nella foto riconosciuta da Dario, il Bergamini aveva in braccio il figlio del Remondi e allo stesso tempo il Remondi  si accompagna spesso alla famiglia Giacco).

Fra l’altro, Dario fa il nome di altri due bambini, Maicol e Nicole, di cui non viene accertata l’identità, ma in termini di compatibilità, potevano essere i nipoti di De. Anna, collega in passato della Ederoclite nell’attività di meretricio in Mirandola. Tra l’altro, l’Ederoclite esercitava in un albergo ristorante che si accerta essere stato a volte frequentato da Don Govoni. Non viene esclusa una conoscenza tra i due.

Sembra che proprio il Don sia stato l’anello di congiunzione tra i due gruppi, come infatti verrà evidenziato nelle motivazioni della sentenza di I°. I rapporti con la famiglia Galliera sono stretti: infatti il parroco ha trovato loro una casa dopo lo sfratto, ha procurato il legale a Romano e Igor Galliera, ha ospitato la madre e la sorella di Dario in un centro di assistenza da lui gestito, accompagna i membri della famiglia alle udienze.

La descrizione fatta da Dario di Giorgio 1, il “sindaco” corrisponde alle fattezze del prete: inoltre Dario riferisce che una volta Giorgio 1 era andato a trovarlo al Cenacolo insieme alla madre Adriana. Tale circostanza è confermata dalla deposizione di Suor Aderita che afferma che il fatto avvenne nell’estate del 1994, quando la comunità si era trasferita per le vacanze nella struttura di Marina di Massa. Il particolare strano è che il Don, per preannunciare la visita, aveva prima telefonato alle suore spacciandosi per il padre di Davide, e non si qualifica neanche quando la suora gli contesta che la sua non è la voce di Romano. Una volta arrivati, il Don aspetta fuori e non dedica neanche un saluto al bambino. La religiosa effettua anche riconoscimento fotografico del Govoni. Ma ancora più strano appare ai giudici il fatto che il Govoni abbia detto di aver visto Dario una o due volte al massimo e di sfuggita. I giudici si chiedono come mai, nonostante le attenzioni dedicate alla famiglia, il Govoni sembri disinteressarsi completamente del più piccolo membro di essa, e neppure, come affermato nelle tesi difensive, gli abbia mai parlato. Anche di altri bambini, il prelato negherà la conoscenza, nonostante svariati indizi in contrario.

Altri quattro bambini si riferiranno al Don come abusante e officiante i riti ai cimiteri, e solo due di loro, Dario e Margherita, che non hanno mai avuto frequentazioni della chiesa, lo indicheranno come Giorgio o il “sindaco”, mentre gli altri, che frequentando la chiesa lo conoscevano, lo indicano in modo più appropriato come il “falso prete” (Cristina) o Don Giorgio ( fratelli Covezzi).

Il sacerdote quindi, passato dal 1978 dalla parrocchia di Massa Finalese a quelle di San Biagio e Staggia, conosceva bene entrambi i gruppi di persone, e i bambini di entrambi i gruppi, sconosciuti fra loro, hanno rivelato le medesime violenze rituali, tutti indicando nel prete, peraltro fisicamente ben descritto, la figura predominante. Nel processo pedofili bis verrà accertata, da dichiarazione dell’imputato Giuseppe Morselli, la sua conoscenza dei Galliera.

Vedremo in seguito ulteriori riscontri sui collegamenti di Govoni con le famiglie Morselli e Covezzi.

 

Nelle sue rivelazioni, Margherita fa riferimento a C. Remondi, come partecipante ai riti al cimitero, insieme ai suoi genitori, amici dei genitori della bimba. Trincia non parla di lui, ma è opportuno, per maggiore chiarezza, farne cenno.

C. nasce nel 1987, quindi all’epoca del processo ha 13 anni. I genitori hanno un passato di tossicodipendenza. E’ il bambino in braccio al Bergamini nelle fotografie usate per i riconoscimenti. Il Bergamini è amico di lunga data del Remondi, si erano conosciuti in carcere all’età di 18 anni.

Nel novembre 1998 viene sospesa la potestà genitoriale dal TM, ma il provvedimento non è in atti, quindi non si conoscono i motivi. Comunque il ragazzino, dopo l’affidamento alla comunità, è seguito dalla psicologa Dott.ssa Gemelli, che depone come teste nel processo. Anche C. viene sentito in audizione protetta.

Emerge che il ragazzo desidera rivedere i genitori, contrariamente a tutti gli altri bambini, e manifesta preoccupazione per loro (una volta ha anche assistito al tentativo di suicidio del padre).

Per questo il Tribunale giustifica la sua reticenza su avvenimenti che possano incriminare i genitori.

Però ci sono alcuni elementi interessanti nelle sue dichiarazioni, come il riferire che i genitori avevano conosciuto persone che facevano male ai bambini, attraverso riti in cui il diavolo li rendeva capaci di ferire o fare male e il confermare le dichiarazioni di Margherita sul fatto che gli incontri fra le persone coinvolte avvenivano al castello. Le sue dichiarazioni vengono ritenute non troppo chiare, comunque per i giudici neanche smentiscono Margherita sull’esistenza di violenze fisiche rituali sui bambini e sull’uso di coltelli per ferire.

bottom of page